domenica 29 aprile 2012

STESSO SANGUE (5 aprile 2008)



Ancora ti penso, non passa giorno che non lo faccia.
Ti ritrovo in tutte le cose che faccio, soprattutto quando sento odore di sigaretta: sarà per questo che fumo ogni tanto?
Ogni volta che mi specchio, vedo il tuo viso nel mio.
Ogni volta che parlo o penso agli amici che ho, ogni volta che mi fanno ridere e pensare e parlare.
Mi manchi anche se ti sento sempre vicino.
Ogni volta che voglio qualcosa di più, ogni volta che tendo a migliorarmi, ogni volta che m’impegno per me e per gli altri.
Quando accarezzo un gatto, quando sorrido vedendo dei bambini che tornando da scuola ridono e scherzano e si parlano di quello che vogliono fare o hanno fatto.
Quando incrocio una bella ragazza, quando vedo in un ristorante delle persone che lavorano e faticano e a fine giornata escono e si fumano una sigaretta insieme.
Mi pettino e vedo i miei capelli così simili ai tuoi, penso ai nostri genitori, ai nostri fratelli e sorelle, al nonno che non abbiamo conosciuto, ai nostri parenti in Germania che vorrei tanto conoscere: chissà se ci somigliano, chissà se anche loro hanno il nostro stesso modo di pensare, di guardare alle cose con stupore e curiosità, con un retrogusto di tristezza.
Ogni volta che mi fanno notare che ho sbagliato e dico “hai ragione”, ogni volta che imparo qualcosa di nuovo e ne sono contenta.
Ogni volta che ascolto musica e ogni volta che la mia voce esce per produrne di mia.
Ogni volta che ho qualcosa da fare ed invece mi metto a perder tempo.
Ogni volta che ho voglia di scrivere, di riflettere, di mettere sulla carta i miei sentimenti come ne sono capace, senza pretese di compiacere qualcuno.
Ogni volta che me ne frego, litigo, vengo insultata anche ingiustamente, ogni volta che la spunto per un pelo e mi sento di aver scampato ad un problema.
Ogni volta che m’innamoro e noto quante cose la persona che mi piace ha in comune con te, e capisco di esser amata perché mi dice le stesse cose che mi dicevi tu, da fratello a sorella: devi farti rispettare, devi farti dare quello che vuoi avere, devi ascoltare e dare quello che ti senti in grado di dare del tutto. Ama e non chiederti se è giusto, soffri e non chiederti se è giusto, esprimi il tuo amore e il tuo dolore alla persona interessata.
Queste cose non me le hai mai dette, ma le sento come tue perché mi hai sempre detto che la sincerità è la migliore condizione per vivere serenamente, in pace con sé stessi, senza blocchi di nessun tipo. Sei sempre stato te stesso, frainteso e apprezzato, hai subìto violenze ma senza fingere mai nulla. Non sono ancora arrivata al punto di sentirmi tanto libera, ma tanto lavoro ho fatto sul mio muscolo comportamentale, come se mi fossi entrato dentro dopo aver varcato la soglia della realtà fisica per quella immateriale.
Quell’incidente l’ho subìto anch’io, forse in quel modo ci siamo scontrati e in modo tanto violento sei entrato dentro di me: ero io il platano all’incrocio di quella strada bagnata e buia, il vento ti ha lanciato verso di me e tu non ti sei opposto.
Quello che si muove dentro di me sei tu, che mi vuoi far sentire la tua presenza, accarezzi i miei nervi, massaggi i miei muscoli, e spesso salti sul mio cuore per farmi percepire quello che avrei potuto non cogliere.
Sento i miei limiti come i bordi di una strada, oltre i quali c’è il mondo.

sabato 28 aprile 2012

CITTA’ E PRIMAVERA 23 maggio 2008

Zórzimo Croquezz, Primavera urbana



















E’ sera, le strade vicino alla stazione sono piene di macchine che scattano al verde, gente che cammina di fretta. Così anch’io.
Eppure non riesco a non fermarmi sentendo il profumo dei fiori appena sbocciati sugli alberi lungo il canale, la primavera che prevale sopra qualunque smog.

E’ già quasi sera: il cielo azzurro intenso si adombra elegantemente, pur lasciando che ogni colore sia nitido più che mai.
In mezzo a tanto movimento, non posso restare indifferente a questa statua bianca di Garibaldi, circondata dal verde e dal cinguettìo quasi mattutino d mille passerotti invisibili, di sicuro nascosti tra le foglie nuove degli alberi in fiore.
Incredibile: i passerotti in allegre discussioni, il bianco della statua di Garibaldine il verde dei prati e degli alberi che si specchiano nell’acqua del calmo canale, riescono a sovrastare la fretta e lo smog di questa primavera urbana.
La città si arrende inconsapevole della propria stessa debolezza.
Cosa sono io: città o primavera?

MARE (venerdì 21 marzo 2008)

Michele Alderighi, Foglia sul mare

Mare,
ti ho sempre temuto,
ti ho sempre tenuto lontano
e ora…
Ora che ho scoperto che mi piaci,
cosa fai?
Mi inghiottisci…
Mi uccidi…
C’è beffa più grande che venir uccisi da ciò che si ama?
E’ possibile diventare amici?
E’ troppo tardi?
Troppo presto?
L’acqua spinta dal passaggio di un branco di pesci neonati,
con la loro voglia di vita giocosa,
potrebbe aiutarmi a raggiungere la superficie…
Un gabbiano potrebbe tuffarsi per cercar cibo e,
nel tirar fuori la testa,
potrei rimanere impigliata nelle sue piume
e rimanervi attaccata finché non si asciugano
Potrei cadere su qualche spiaggia al riparo
Dopo un battito d’ali
E accolta nelle forti braccia del vento
venir scortata altrove, in un luogo nuovo
fatto di nuove scoperte, nuove insidie.
Proverei forse l’ebbrezza di esser schiacciata
Dalla ruota di un’auto, di una moto o bici
Dalle scarpe indaffarate dei passanti
Bagnata da pozzanghere sporche
O da piogge canine, o di ubriachi
Potrei provare l’ebbrezza di esser usata da un barbone
Per ravvivare il suo fuoco
Per imbottire le sue coperte di stracci e cartone.
Potrei anche esser notata da un bambino
Pulita, accarezzata e attaccata su un foglio
Colorata assieme ad altre come me.
Potrei esser presa da un merlo diligente
Che mi fa a pezzi per riempire il suo nido
Pronto ad accogliere la primavera nelle sue uova.
Oppure potrei continuare a volare senza sosta
Senza dimora.
Che beffa, neppure da morta
Posso sentirmi amata…

Ti odio (?) (8 Settembre 2005)

Soleà - Odi Et Amo



















Vorrei essere su un altro pianeta
Lontano da te
Un altro paese, parlare un’altra lingua
Non incontrarti mai
Non capirti se dovessi rivolgermi la parola
Vorrei essere un animale
Per non capire le tue parole e nessuno dei tuoi comportamenti
Lottare per sopravvivere ma in assoluta libertà
A cuore libero da inutili malumori, rimpianti, falsità
E invece sono qua a contemplare
I limiti della mia sopportazione
Senza saper cambiare nulla
A vivere di ricordi e speranza

VENERDI’ (17 Novembre 2006)

Valentino Marra - Travel in the colours























Giri di parole,
Parole a giri
Ripeto e ripeto,
Paranoia pura
Siamo tutti uguali,
Siamo tutti diversi
Qual è la verità
Qual è la bugia
Qual è il segno che esprime i pensieri
Il simbolo o il suono
La linea o il punto
Un’immagine ferma o in movimento?

Viaggiare mi consola
Mi rende più sicura
Mi fa quasi toccare
Con mano la vita concreta.
Per mezzo dello shock del movimento
Tutto corre e sfugge al pensiero
Non pensiero, non paura
Vero entusiasmo.

Partire mi angoscia
Sono sola davanti alla preparazione
Dei miei mezzi
Mi ritrovo persa
Scopro che la mia vita
È un labirinto di ciò che ho costruito
Ma che non riconosco.

I colori mi accarezzano
E le immagini
Create dalla mia fantasia
Mi abbracciano e mi baciano
Unico affetto possibile.

Maggio (17 maggio 2008)




Ohara Koson
Maggio

Sera sola

Aria fresca

Piena di foglie

Stelle

Estate bambina

Lucciole nei cespugli

Passeggiate col gelato

Erba fresca sulle caviglie

Vestiti leggeri

Nascondino e risate

Rosario e cori stonati

Salve regina mater misericordiae

Nelle strade e nei prati

Candele in mano

Bambini, nonne e genitori

Ali sulla mia schiena

Sono morta

Finché domani mi sveglio


lunedì 16 aprile 2012

COME FA (domenica 22 marzo 2008)

© Franco Donaggio - Reflections


















Come fa la tua testa a non farmi guardare dove cammino?
Rimango con il naso in su a guardare le nuvole, il cielo
E i gabbiani che volano bassi e urlano uno all’altro
Specchiandosi sul canale, tra le barche ferme ai lati
Senza direzione, senza intenzione.
Sono un gabbiano anch’io:
Volo a rotta di collo sull’acqua
Solo per il piacere di vedermi specchiata
E urlo di gioia, impazzita assieme agli altri
Quando stiamo per scontrarci,
Per la nostra comune pazzia narcisista,
Per il piacere di sentire sul becco e tra le piume
Delle ali, della pancia e del dorso
L’acqua ariosa che ci entra dentro,
Senza neppure toccarci,
Senza neppure farci toccare.

Come fa la tua presenza a continuare da tanto lontano?
Sei le nuvole blu nel tramonto rosa
Che voglio vedere ancora mentre volo
Su questo mercurio denso e lucido,
Così denso d’insidie,
Così lucido d’attrazione.
Mi piace volare sul pelo dell’acqua,
Sentire come la tua presenza
Mi sfiora gentilmente con le morbide onde
Della scia di una placida barca
Che col borbottare stanco del suo motore
Lascia un’altra doppia scia di fumo al cherosene
E lo scontro gentile di queste anse sulla fondamenta
Fa saltare fuori poche gocce della tua presenza.

Come fa la tua assenza a percepirsi così bene?
L’aria tersa di questa giornata di volo
Mi fa vedere le montagne lontane
Con le cime piene di neve
Ferma il mio volo di autocompiacimento
Sulla cima di un palo nell’acqua
Mi aiuta ad ascoltarmi,
Mi fa venire voglia di ascoltarmi,
Mi fa godere dell’ascoltarmi,
Per capire quello che sento
Così dentro le mie stesse viscere
Che ora non smettono più di chiamarti,
Di voler percepire la bellezza in ogni cosa.
La neve a migliaia di kilometri
Riflette lo stesso sole che scalda tutto il pianeta
E ribadisce la nostra vicinanza indimenticabile.
Il freddo di quest’aria pungente
Entra come una lama nelle mie narici:
Sto respirando le montagne lontane, la tua presenza,
la tua lontananza, la tua testa.
Respiro la tua stessa aria che vuoi mantenere lontana.
Ma le mie ali mi permettono solo di accettarlo
Come si accetta un fatto irreversibile, o la morte o la vita
Così come si presenta davanti ai nostri occhi
Davanti alla nostra stessa vita.

Come fa la tua voce a risuonare muta in ogni luogo?
Eppure scuote le foglie degli alberi,
spaventa i passerotti e i gatti,
richiama l’attenzione di ogni persona
strappa un sorriso nel sovrappensiero
attira i delfini e fa soffrire i cani,
risveglia dal torpore della noia e della tristezza,
dall’eccesso di concentrazione, dalla rabbia.
Le tue poche parole lontane nello spazio e nel tempo,
Le tue parole mai pronunciate
Staccano valanghe dall’altra parte del mondo,
Rompono bicchieri di cristallo a bordo del Titanic,
Sono il terremoto nel Giappone del ’23,
Il crollo della diga del Vajont,
Sono il coraggio di difendersi, di urlare la propria ragione
Dopo anni di umiliazioni ingiuste,
Sono la porta che non era mai stata aperta
E che ora non si può più chiudere,
della stanza che mai avrei creduto di possedere.
Le tue parole rompono gli specchi
Ed i mille pezzi infranti s’incastrano nella pelle
Tagliano le dita, le mani, le braccia, la gola, le vene.
Ma tra il mare di mercurio rosso e ferroso
Che lascia il mio corpo
Vedo me stessa riflessa in ogni singolo frammento
E bacio il taglio che mi ha ridato la vita.

mercoledì 15 febbraio 2012

GABIMATRABAS


Come potrei iniziare un viaggio adesso? 
Eppure mi muovo, e se mi muovo, sto viaggiando.

Oggi la luce mi ha svegliata prendendomi tra le sue braccia. L’acqua mi ha lavato il sonno dagli occhi. Il vento mi ha coccolata e pettinata. Le piante mi hanno accuratamente vestita.

Tengo un parasole sulla mia testa perfettamente acconciata, che dondolo facendo ondeggiare i pettini tra le ciocche. Con l'altra mano, tengo un lembo del mio lungo vestito a strati, fermato da una spessa e lunga cintura. I miei piedi rigidi sugli zoccoli si muovono veloci a passi brevissimi.
Sono sempre più veloce e agile: le mie gambe si curvano e ruotano leggere, come una bicicletta. Prendo confidenza e man mano velocità. Alzo polvere, l'odore della benzina in me mi eccita, mi esalta.
Corro sempre di più, ho bisogno di scappare mentre le luci si riflettono su di me.
Il vento mi inebria mentre mi defilo a perdifiato sulle rotaie del mio cammino, e non mi curo più di niente e di nessuno: i passeri si spaventano al mio passaggio, i gatti si nascondono con le orecchie piegate prima che chiunque altro si accorga di me.
Devo accelerare, devo vincere questa sfida: far perdere le mie tracce, libera finalmente!
Ora un pendìo mi provoca, ed io non manco di giocare: mi lascio andare, non temo il precipizio, rido mentre mi preparo allo schianto...
E invece no! Nessun impatto se non con l'aria, che mi fa continuare questo viaggio.
Ora urlo di gioia: la rapidità mi fa abbracciare lo spazio fino all'orizzonte, più urlo e più accelero!
L'impatto col puro spazio aperto mi scioglie la veste, mi disfa l'acconciatura: il mio essere si espande attorno a me, che sto volando come un razzo sulla superficie dell'oceano. I miei capelli lunghissimi toccano le onde che mi attirano pesanti.
Plano sul pelo dell'acqua, man mano che m'impregno di vita salina, continuando la mia corsa, spinta dal vento.
Poco a poco mi calmo, il mio cuore non rischia più l'infarto e mi lascio portare dall'aria che gonfia le mie vesti e i miei capelli.
Sono comunque emozionata: non m'importa più di fuggire, anche se rimane di me uno strascico superficiale, che si disperde poco a poco.
Placida, mi fermo a guardare il sole che tramonta.
Mentre lo guardo, invidio la sua lentezza brillante e regolare: lo spettacolo è talmente perfetto che mi immedesimo in esso.
Con gli occhi gonfi di gratitudine, scendo giù assieme a quell’astro morente, e la mia visione diventa sempre più liquida.

Questa notte il buio mi ha accolta tra le sue braccia. L’acqua mi ha calmata e cullata.
Le onde mi hanno sciolto e pettinato i capelli e le alghe mi hanno coperta.

La mia discesa raggiunge l'oscurità dell'abisso.
Mentre i pesci mi fanno il solletico tra i capelli, sorrido guardando il gentile tondo sfocato della luna che inizia ora il suo viaggio.

domenica 12 febbraio 2012

Non so (mercoledì 16 aprile 2008)



Non so,
ho una melodia nelle orecchie
continua ad andare
come onde
mi fa sussurrare a bocca chiusa
mi fa prendere ogni pensiero
e renderlo immagine
ogni giorno, ogni momento
in cui sono da sola
cammino per andare a lavoro
per tornare a casa
un passo e poi un altro
mi ritrovo con una musica
che segue i miei passi
impigliata nelle mie scarpe
nella mia ombra che cammina
la mia testa dondola
con un ritmo che è dentro di me
salgo i ponti
un gradino dopo l’altro
mi immagino a camminare
in una notte buia
scendo il ponte e continuo a camminare
ecco le parole
seguono la musica
seguono i passi
guardo i passanti
osservo le loro espressioni
e la musica continua
sussurro la musica
sussurro le parole
che nascono nella mia testa
che provengono dal mio corpo
respiro il sole, le onde nel canale
i gabbiani che urlano e volano
i bambini vanno o tornano da scuola
bambini che sorridono
bambini che piangono
anche io sorrido e piango
con loro
cammino ancora
ho una destinazione
ma la canzone mi dice che andrà avanti
un passo dopo l’altro
così anche lei continua
dentro di me,
impigliata nei miei piedi
nei miei capelli
nelle dita che sentono l’aria
nelle ciglia che vedono la primavera
in ogni mia azione
in ogni cosa che osservo
le persone che mangiano ai tavolini
dei ristoranti al sole
stranieri che parlano discorsi incomprensibili
genitori con bambini
studenti del liceo che camminano insieme
parole che continuano
attorno a me
come passi
come onde
sorrisi, sguardi, azioni
tutto si riflette attorno a me
mille specchi
mille soli
mille fuochi
mille suoni
mille musiche

Ti ho sognato stanotte



Ti ho sognato stanotte.
Sognavo che mi avvicinavo a te, con grande desiderio e speranza, ero sicura che avrei trovato quello che cercavo, quello che sempre mi hai dato.
Ti ho preso il viso tra le mani e mi sono avvicinata al tuo orecchio e ti ho detto: Per favore, fammi male.
Mi hai guardata, hai sorriso, con un'espressione di un padre che si preoccupa per la figlia e le sta per comprare un regalo per farle andar via la tristezza, e hai detto: Sì, ci penso io. Ma ricordati, io sono l'unico che sa farti male veramente, solo di me ti puoi fidare.
Continuando a fissarti, la felicità era talmente forte che ho iniziato a piangere ad occhi spalancati.
Piangevo, mi scoppiava il cuore mentre mi mettevi le manette.
Ti ero infinitamente grata mentre mi attaccavi ad un chiodo a braccia in su, completamente immobilizzata.
Lacrime calde e grosse mentre iniziavi il tuo gesto d'amore privo di contatto: ad ogni frase che mi dicevi sottovoce, una lacrima.
La tua espressione cambiata in sarcasmo, le tue frasi taglienti mi squartavano dentro.
E' vero, solo di te mi posso fidare.

Inchiostro

© Half--the--Fun

Scrivo con una penna ad inchiostro.
Le parole scivolano sulla superficie del foglio,
escono dalla mente e dal cuore come da una sorgente infinita
si trasformano in forme dalle curve morbide come anse
ed in righe dritte e feroci come dighe e alberi caduti.
L'acqua scorre densa di vita, di pensieri, di parole e di sentimenti,
ora placida e gentilmente affettuosa, amante,
ora impetuosa e dirompente, assassina.

Questo fiume è solo mio, è la mia solitudine, è il mio monologo.
Nessuno commenta, nessuno consiglia e conforta.
Solo io e me stessa, la mia acqua dolce che diventa mare di golfo e poi oceano.
Da anni avevo perso la via per questo corso d'acqua.
Ma ora che l'ho ritrovato, temo di riperderlo o di perdermi in esso.
Il tempo a specchiarmi da questa canoa leggera pare infinito.

Mi osservo, io e la mia gemella parliamo senza voce.
E' strano confrontarmi con me stessa,
sembra di essere in un altro mondo, un pianeta a parte:
regna il silenzio, solo l'acqua parla con un infrangersi di mille echi
Se provo ad emettere parole, esce solo musica con forte riverbero
E la mia gemella mi osserva sorridendo.

Ho paura di lei, e lei lo capisce.
Ci guardiamo tristi e sospettose,
allunghiamo la mano ma fra di noi l'acqua riempie i nostri occhi
Non posso toccare con mano me stessa
Osservo il cielo riflesso sull'acqua con le sue nuvole e colori
Capiamo che siamo distanti, in realtà
Due mondi distinti e incollegabili se non da quest'acqua.
Il fango, le foglie ed i pesci rompono l'immagine riflessa a tratti
L'evidenza della lontananza è anche nel sogno.

Mi ritrovo a fissare questo lungo corso di liquide parole scritte
Gli occhi spalancati in una visione irreale
Me ne distacco, faccio altro, un the, della musica...
Questo rapporto con me stessa è faticoso, non riesco a sopportarlo a lungo.
Me ne dimentico, appoggio la tazza sul foglio, una canoa allagata sul fiume.
Appena bevo ancora il the, vedo la chiazza tonda sulle mie parole...
Si è formato un sole infuocato sul mio fiume, un cerchio di foglie su una foresta di parole.
Mi ipnotizzo ancora a guardare questo fiume e me stessa riflessa,
il mio monologo mi guarda, la mia solitudine è la mia stessa compagnia.
Nulla mi distrae, mi concentro e penso.
Non riesco più a scrivere, la mia gemella mi fissa e ci capiamo
Vorremmo non essere così lontane, così sole, così incapaci di comunicare direttamente
Ci prendiamo per mano nell'acqua, lungo le morbide onde della canoa
La scia del mio percorso e lei che mi segue
Siamo sempre soli in questo mondo, in noi stessi...
La mano liquida mi stringe in risposta alla mia
I nostri sguardi diventano liquidi e beviamo l'uno quello dell'altra
Goccia dopo goccia
Ben presto arriva un acquazzone che cancella poco alla volta la me d'acqua
Addio, a presto, addio mia unica comprensione

Mi sveglio da quel sogno, scoprendo di essermi addormentata sulle mie parole
La piccola radura di foglie coperta da un sole di fuoco
Ora aveva anche un lago, una nuvola, un ghiacciaio, una montagna
Le mie lacrime avevano dato forma alle mie parole
La mia me riflessa era là a guardarmi.


L'abbraccio



12 febbraio 2012

Quando le ombre della giornata
tagliano il mio fragile umano cuore,
prendo coraggio solo 
nel tuo abbraccio.
Non puoi avvicinarti?
Il tuo sorriso e il tuo sguardo 
sono l'abbraccio.
Non puoi raggiungermi?
Le tue parole 
sono l'abbraccio.
Non sai cosa dire?
I tuoi gesti 
sono l'abbraccio.
Devi fare altro?
Le parole che usi per dirmi che mi vuoi bene 
sono l'abbraccio.
Non mi vuoi bene?
I pensieri di te 
sono l'abbraccio.
Perché tu sei in me.
Perché io sono te.

domenica 29 gennaio 2012

Ritratti della "senzatettitudine"

"Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior." 
(Via del Campo - F. De Andrè)
©Lydia Bailey in Portraits of Homelessness

Mi hanno sempre colpito i senzatetto. E ora più che mai.
In questa Italia malata, pregna di raccomandazioni anti-meritocratiche.
In questo Nordest, invischiato nel perbenismo borghese.
Posso avere le mani sporche da laureata?
Posso essere senza casa, dopo un master?
I miei capelli spettinati, le mie scarpe usate, i miei vestiti sempre uguali, mi rendono ancora essere umano?
Dietro i giorni di sporco, dietro la malattia, dietro il dolore, c'è ancora un essere umano. Che uomo è?
Gli parlereste mai? Gli chiedereste come sta? E magari non lo fate perché avete paura che lui abbia bisogno di qualcosa che voi potete dargli senza problemi?
Mi sono sempre chiesta perché un senza tetto da così tanto fastidio a un borghese (chi ha un lavoro e vive per esso). Ora forse l'ho capito.
La differenza sta nel fatto che il borghese segue la filosofia del "guarda, passa e più non dimandare".
Ma non potrà mai ignorare l'inferno, e se lo porterà dentro.
Il senzatetto invece è un re nel suo regno: di chi lo ignora, si dimentica immediatamente e non se ne ricorderà mai. Anche perché non è paradiso, ciò che lo ha ignorato.