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© Igor Zenin
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Domenica mattina mi sono
svegliata molto tardi.
Chat mi ha svegliata saltando
sul mio cuscino e strusciandosi con mille fusa sul mio naso. Strano gatto: mi
si avvicina con affetto quasi solo mentre dormo.
E’ saltato subito fuori dalla
mia borsa di Mary Poppins di ricordi un episodio di quando ero piccola, molto
piccola.
Ero in cucina con mia mamma,
una domenica d’estate. Avrò avuto massimo 5 anni. Io dormivo già in camera con
le mie due sorelle maggiori, nel piano di sotto di un letto a castello in ferro
pieno di figurine dei nostri cartoni animati preferiti, che guardavo insieme a
loro ogni pomeriggio.
Quella mattina ero in cucina,
avevo fatto colazione in braccio a mia mamma e poi la stavo aiutando a lavare i
piatti e a mettere a posto la cucina. Mettevo la sedia di fronte al lavandino e
lavavo i piatti, ma mi piaceva lavare soprattutto i bicchieri, perché
diventavano trasparenti con mille riflessi colorati, come bolle di sapone. Li
lavavo anche 2-3 volte, poi andavo a farli vedere a mio padre, che diceva
sempre:” Che bello, sì! Che bello! Brava!”
Mio fratello Walter dormiva
in una camera tutta sua, aveva 7 anni più di me, era più piccolo delle mie
sorelle di un paio d’anni. Quella mattina si era svegliato ed era venuto in
cucina solo in mutande e a piedi nudi, cosa che faceva imbestialire mia mamma.
Dopo averlo rimproverato, ho capito che lei era evidentemente di buon umore e
le cose hanno preso una piega positiva, ero pronta al peggio, come sempre: lei ha
iniziato a pestargli i piedi e dargli pizzicotti sul sedere, dicendo di farlo
anch’io per mandarlo a vestirsi e a mettersi le ciabatte.
Così eravamo lì a ridere, a
coprirlo di pizzicotti e di solletico, uno dei giorni in cui ho riso di più!
Poi, dimenandosi e ridendo, Walter si è liberato ed è corso in camera sua,
lasciandoci piegate dal mal di pancia.
Dopo poco, mio fratello è
tornato ancora in cucina: era ancora in mutande e a piedi nudi! Ma appena si è
avvicinato, andando al lavandino, vediamo che si è attaccato un foglio sul
sedere e davanti con scritto “Non toccare!!” e giù risate…
Quella è stata una delle
poche volte in cui ho visto mia mamma che non picchiava mio fratello.
Ho visto tante volte W. piangere quando eravamo piccoli, ma per me lui era sempre il fratello grande,
credevo fosse logico che da grandi si soffre, lo vedevo quindi come persona
grande e mi fidavo di lui.
Mi insegnava tante cose che
gli altri non volevano o non avevano coraggio di raccontarmi: cosa gli piaceva
delle ragazze, quante compagne di scuola aveva palpato, cosa combinava coi suoi
amici, quante volte gli davano la colpa dei disastri fatti dagli altri, come
fischiare… Mi prendeva sempre in braccio quando volevo, e quando mi montava
sulla sua schiena, mi faceva sempre il solletico dandomi dei pizzicotti sul
sedere. Facevamo il bagno insieme, e lui si divertiva a farmi vedere i prodigi
del suo pistolino che si muoveva da solo, o quanto riusciva a stare in apnea, o
a fare le puzze sott’acqua… Ma quelle me le faceva anche a secco direttamente
in faccia!
Mia mamma era contenta che ci
volessimo bene, anche perché le mie sorelle praticamente lo odiavano e
litigavano spesso con lui, anche insieme.
Io piangevo sempre, ancora
prima che chiunque iniziasse a fargli del male, sentivo quello che provava,
rabbia e tanta tristezza: piangeva senza singhiozzare, e rimaneva fermo con le
lacrime che gli rigavano il viso a fissare la persona che iele stava suonando.
Strano che non reagisse: tra gli altri bambini era noto per la sua grande capacità
di difendersi. A volte faceva degli urli smorzati lunghi mentre provava gli
veniva fatto del male, ma sempre con la rabbia dentro… Lo sento ancora nella
gola, quel dolore rabbioso che gratta, pieno di domande: perché? Cos’ho fatto?
Sono così cattivo? Perché non riuscite a volermi bene così come sono? Perché nessuno mi vuole bene?
Però, no, io gli volevo bene così com'era, ed avevamo sempre piacere a stare insieme.
Forse è per questo che è
andato via di casa a 17 anni per lavorare fuori.
Ma anche quando, 6 anni dopo,
è tornato per un paio di mesi a casa, dopo che aveva lasciato la sua ragazza
con cui viveva, ancora i miei non avevano cambiato modo di trattarlo, salvo che
non lo picchiavano più.
In quell’ultimo periodo,
lavorava fino a tardi e spesso andava fuori dopo lavoro, magari in autostrada a
prender le sigarette, che fumava a quintali.
I quintali erano anche quelli
che premevano il suo acceleratore, e spesso tornava con dei graffi o dei pezzi
rotti sulla macchina.
La mattina, prima di andare a
scuola, controllavo se era a letto, lo trovavo spesso a dormire sul divano
davanti alla televisione accesa, ma l’ho pure trovato a letto con un occhio
pesto, perché si era fermato a picchiare due che avevano insultato la ragazza
con cui stava in macchina e di cui era innamorato dai tempi della scuola
alberghiera.
Che forza, che energia, che
velocità! Ne ero spaventata.
Bruciava tutto, mangiava in
frettissima, aveva sempre caldo, gli chiedevi di venire in macchina in un posto
e arrivava subito, insomma il contrario di me.
Io passavo il tempo a
contemplare tutto, anche troppo, stavo male e lui l’aveva capito: mi portava
sempre fuori, stava quasi sempre con me, anche perché non riuscivo a studiare.
Stavo per perdere l’anno e
lui mi aveva chiesto se andavo a lavorare in stagione estiva con lui. Ero
d’accordo. Pensavo che avrei lasciato la scuola, non ce la facevo più. Pensavo
che la gente era tutta marcia, tutti opportunisti che non vogliono da te niente
che abbia a che fare col tuo vero te, ma solo quello che gli serve.
Vedevo le mie compagne di
classe col ragazzo, o che facevano le oche per conoscere uno, o ragazzi che mi
evitavano perché avevo l’aria triste, mi disgustavano tutti.
Dopo tanti anni, sono
arrivata al punto di pensare che non avevo così tanto torto.
L’unica persona che si
salvava veramente era mio fratello.
Peccato che quel quintale
sull’acceleratore non sia mancato in quell’ultima notte di forti temporali a
fine maggio.
Peccato che quella curva a
gomito non si sia raddrizzata al suo passaggio impetuoso.
Peccato che il platano che ha
accartocciato la sua macchina non si sia gonfiato di nuvole e foglie.
Non smetterò mai di pensarlo,
anche in momenti diversi dalla domenica mattina, e non smetterà mai di
mancarmi.
Fratello, mi senti? Cosa
sarei diventata senza di te?